11 July 2007

AFRICA,IL GRANDE BALZO DELLA CINA

Non è proprio una novità, ma è pur sempre una grande notizia. Pechino, rilanciando con forza la sua politica verso l’Africa, si presenta sulla scena mondiale con un originale piano di intervento che va a coinvolgere otto importanti paesi di quel continente. A lanciare l’offensiva è il capo dello Stato Hu Jintao che lascia Pechino per dieci giorni per portare il suo piano direttamente ai governi del Camerun, Liberia, Sudan, Zambia, Namibia, Sudafrica, Mozambico e Seicelle.

E per ogni tappa ha un pacchetto di proposte che spaziano in vari settori: dalla politica all’economia, dal campo dell’istruzione culturale all’attività sanitaria. Senza dimenticare un piano di maggiori aiuti ed investimenti, che prevede, tra l’altro, la riduzione del debito e l'esenzione dai dazi doganali. Le misure previste da Hu Jintao comprendono anche l'istituzione di zone di sviluppo per la cooperazione economico-commerciale e di centri di sviluppo delle tecnologie agricole e la formazione delle risorse umane. In pratica: una pacifica invasione cinese destinata a raccogliere, sul campo, risultati di grande valore geopolitico. Anche per il fatto che ormai non passa giorno senza che l'economia di Pechino faccia registrare cifre record, suscitando l'invidia dei paesi capitalisti occidentali.

"La Cina – scrive in proposito Der Spiegel - sta conquistando i mercati globali grazie a un inedito misto di economia pianificata e capitalismo sfrenato" tanto che si può anche sostenere che il Pc cinese “é ormai una facciata dietro cui agiscono leader che da tempo hanno ridefinito gli obiettivi politici del paese. Vogliono creare una Cina grande e forte che giochi un ruolo di primo piano sulla scena internazionale".Ed ora ecco il grande balzo verso l’Africa con il viaggio del Capo dello stato cinese che è in pieno svolgimento. E’ la prima missione all’estero che Hu Jintao compie in questo 2007 dopo il notevole successo dell’ultimo Forum di cooperazione sino-africano. Otto i paesi africani presenti nell’agenda di Hu Jintao. E con tutti Pechino ha già ottimi rapporti.Camerun: ha allacciato le relazioni diplomatiche con la Cina nel 1971, ed è un suo importante partner economico-commerciale nell'Africa centrale. Negli ultimi anni la cooperazione tra i due paesi si è continuamente rafforzata. Liberia: dopo il ripristino dei rapporti diplomatici con la Cina nel 2003, le relazioni economico-commerciali hanno visto un rapido sviluppo. Sudan: dopo l'allacciamento dei rapporti diplomatici nel 1959, le relazioni hanno visto un continuo e stabile sviluppo. Dal gennaio al dicembre 2006 l'interscambio commerciale ha toccato i 2,9 miliardi di dollari.Zambia: l'amicizia tradizionale tra Cina e Zambia è molto profonda. Sin dall'allacciamento dei rapporti diplomatici nel 1964, le relazioni bilaterali si sono favorevolmente sviluppate. Namibia: prima della sua indipendenza, la Cina ha appoggiato attivamente il popolo della Namibia nella lotta per la liberazione nazionale. Dopo l'indipendenza del 1990, Cina e Namibia hanno allacciato regolari rapporti diplomatici. Sudafrica: la Cina ha sempre appoggiato a lungo la lotta contro la segregazione razziale del popolo sudafricano. I rapporti diplomatici con questo paese risalgono al 1998. Seicelle: dopo l' allacciamento dei rapporti diplomatici nel 1976, le relazioni tra i due paesi hanno visto un agevole sviluppo. Negli ultimi anni, il commercio bilaterale ha registrato una rapida crescita.I cinesi non fanno mistero dei loro piani.

Sono gli stessi alti funzionari del ministero degli Esteri a spiegare in forma ufficiale che gli obiettivi principali dell'attuale missione africana sono puntati a rafforzare, consolidare e sviluppare ulteriormente l'amicizia tradizionale sino-africana. Il piano prevede otto “misure”, in primo luogo quelle che si riferiscono al valore politico dell’iniziativa. E qui va ricordato che negli ultimi 50 anni, Cina e Africa hanno prestato attenzione alla cooperazione bilaterale di mutuo vantaggio nel nuovo quadro internazionale. E questo è diventato il problema seguito con maggiore attenzione dai leader dei vari paesi nel corso dell’ultimo summit di Pechino. Quando la Cina avanzò proposte concrete relative all'ampliamento delle dimensioni dell’assistenza all’Africa, alla riduzione e/o cancellazione del debito, all'ulteriore apertura dei mercati. Tutte misure che in quel momento del summit sino-africano furono viste come questioni future. Ma ora con il viaggio di Hu Jintao il quadro generale cambia decisamente. Si fa sempre più concreto e si caratterizza come una vera svolta, positiva. Ci sono poi gli aspetti prettamente economici e quelli degli investimenti.

Pechino, in questo viaggio che è in un certo senso epocale, pone l’accento sul fatto che in questa epoca di globalizzazione Cina ed Africa sono di fronte al compito comune del superamento delle difficoltà e dell'auto-sviluppo. Di pari passo con il proprio sviluppo, i cinesi, quindi, sostengono l'impegno congiunto dei paesi africani per il proprio rafforzamento e la realizzazione dello sviluppo sostenibile. E si parla già del fatto che entro il 2010 l'interscambio commerciale generale arriverà a quota 100 miliardi di dollari. Altri interventi quelli che riguarderanno le zone di sviluppo per la cooperazione commerciale. Tutto nel quadro di precise intese per una programmazione a lungo termine. La Cina ribadisce, infatti, il suo sostegno all'auto-rafforzamento congiunto e alla soluzione indipendente dei problemi del continente da parte dei paesi africani. Sostiene l'impegno delle organizzazioni regionali e sub-regionali nella promozione dell'integrazione economica e l'applicazione da parte dei paesi africani del piano di nuove partnership per lo sviluppo dell'Africa. Settori di grande importanza saranno poi quelli dell’istruzione, della cultura, della sanità.

La Cina in tal senso si impegna ad ampliare gradualmente la dimensione dell'assistenza, in particolare quella diretta alla vita delle popolazioni locali. Quindi un piano per la riduzione della povertà ed un ampliamento delle cure mediche, promuovendo la cooperazione fra le imprese cinesi e africane e rafforzando la formazione del personale africano.Spazio, infine, anche alle varie economie dei paesi africani che potranno godere in Cina di un trattamento di esenzione dai dazi doganali. Sarà così offerta la possibilità alle imprese africane di effettuare investimenti nell’immenso territorio cinese.Tutto questo porta ad una considerazione generale. E cioè che la Cina con questo balzo in Africa lancia un nuovo guanto di sfida all’intero occidente. Costruisce, con la sua realpolitik, nuovi ponti per stabilire legami e collegamenti. Prefigura aperture sociali e un clima diverso nel mondo della globalizzazione sfrenata. Di Carlo Benedetti

idea cinese di cooperazione in africa,che ne dite?

23/01/2007 African perspectives on China in AfricaIl nuovo modello di cooperazione allo sviluppo introdotto in tempi recentissimi dalla Cina, che dai primi anni 2000 ha cominciato a portare i propri interessi geopolitici in Africa.L’incontro intitolato “African perspectives on China in Africa”, promosso da Fahamu, è stato senz’altro quello che mi rimarrà più impresso di questo Social Forum. L’argomento del dibattito è stato il nuovo modello di cooperazione allo sviluppo introdotto in tempi recentissimi dalla Cina, che dai primi anni 2000 ha cominciato a portare i propri interessi geopolitici in Africa.La grossa novità introdotta dalla cooperazione cinese in Africa è che essa viene offerta ai paesi africani senza alcuna condizionalità: questo implica da una parte il fatto che essa ha un profilo molto meno arrogante rispetto a quella europea (che se da un lato “aiuta” , dall’altro - pretendendo di conoscere la retta via – impone riforme strutturali come precondizione per ottenere l’”aiuto”); d’altro canto i cinesi sembrano però cooperare – in cambio ovviamente dell’accesso alle risorse naturali, soprattutto minerarie, dei vari paesi africani - anche con i regimi dittatoriali più sanguinari, senza volersi porre la questione dell’impatto che questo tipo di cooperazione possa avere in termini di rafforzamento di questi regimi stessi.L’incontro ha suscitato un grande interesse nel pubblico: la sala era strapiena, al punto che dopo mezz’ora abbiamo dovuto trasferirci in una più grande perché la gente continuava ad arrivare e non riusciva a sentire. Se in molti altri incontri del WSF nelle ultime file c’era sempre chi leggeva il giornale, sfogliava il programma o parlava con il vicino, stavolta l’attenzione era totale, non volava un mosca e chi si perdeva una frase si alzava chiedendo di ripetere, quasi fosse intollerabile perdere anche una sola parola del dibattito. Il libro sull’argomento, venduto da Fahamu, è scomparso dopo il primo quarto d’ora. Ho avuto la netta sensazione che l’argomento sia talmente nuovo, talmente inesplorato e talmente carico di implicazioni per tutti gli attori coinvolti da rendere ogni frammento di informazione prezioso.Il dibattito si è strutturato attorno all’interrogativo se la cooperazione cinese sia semplicemente una nuova modalità di espropriazione delle risorse africane, o se possa essere letta come una nuova forma di cooperazione Sud-Sud. In questo dibattito fino ad oggi hanno trovato posto le voci di commentatori europei o americani, ma quello che si è voluto far emergere è invece la prospettiva africana.Sicuramente il modello di cooperazione cinese è concepito per colmare i vuoti lasciati dalla cooperazione “occidentale”, della quale i vari governi africani vedono chiaramente i limiti, le incongruenze e le ipocrisie, e per la quale dimostrano una chiara insofferenza.Al linguaggio arrogante del Washinghton consensus, il Bejing consensus risponde con un linguaggio volutamente “soft”, parlando di “partnership tra pari” e di “amicizia afro-cinese”; alla condizionalità occidentale risponde con una totale non ingerenza negli affari interni dei paesi con i quali coopera.Questi aspetti sono senza dubbio apprezzabili dal punto di vista africano, da rendere l’ingresso della Cina nello scenario della cooperazione internazionale un’alternativa concreta che molti paesi africani cercheranno di usare per aprirsi margini di manovra più ampi.La cooperazione cinese porta con sé – tuttavia – anche una serie di criticità, che mettono in allarme soprattutto la società civile africana (oltre che occidentale). I cinesi, innanzitutto, portano grandi progetti infrastrutturali – certamente benvenuti, anche perché vengono realizzati in tempi record e consegnati “chiavi in mano”– che tuttavia spesso costano più in manutenzione che in costruzione, e che dunque vengono utilizzati solo per un periodo limitato, per poi cadere in disuso per mancanza di fondi per la manutenzione.Un altro problema è quello della forza lavoro: la cooperazione cinese porta in Africa non solo il progetto e i propri ingegneri, ma addirittura la mano d’opera per la costruzione: questo ha implicazioni negative in quanto da una parte la mano d’opera del paese africano beneficiario non ne trae nessun vantaggio, come pure l’economia locale; dall’altra le condizioni di lavoro della mano d’opera cinese destano molte preoccupazioni, tanto che c’è chi ipotizza che gli operai cinesi in Africa siano in realtà detenuti provenienti dalle carceri cinesi.Un’altra questione è quella dell’impatto ambientale degli interventi cinesi, che sembrano non prevederne alcuna valutazione e operano in genere fino ad esaurimento delle risorse naturali.Dalla Cina, inoltre, arrivano più prestiti che non interventi a dono, il che potrebbe avere delle ripercussioni pesanti – a lungo termine – sulla situazione debitoria della maggior parte dei paesi africani.C’è infine il problema di come la cooperazione cinese gestisce questi progetti, non disdegnando spesso pratiche illegali, in assenza di documentazione scritta e spesso utilizzando legami con la criminalità locale.Il quadro quindi è complesso. La cooperazione cinese in Africa ha una storia talmente corta che non è ancora possibile trarre delle conclusioni: la presenza cinese in Africa comincia negli anni settanta, ma in quegli anni la Cina era solo uno dei tanti partner dei paesi africani, ed operava ovviamente in un quadro geopolitico diverso, quello della guerra fredda.L’investimento grosso in Africa in termini di cooperazione inizia invece nel 2001, ma è difficile dare una valutazione preliminare anche di questo breve periodo, in quanto le informazioni sulle pratiche di cooperazione cinese sono scarsissime, tanto che è difficile capire anche soltanto quali siano gli attori che gestiscono questi progetti, secondo quali procedure si muovano e nel quadro di quale tipi di partenariato.Per il momento sembra che l’unica analisi possibile è un’analisi caso per caso: il caso sudanese, per esempio, sembrerebbe mostrare come non sia vero che la Cina non interferisca negli affari interni dei paesi africani con i quali coopera, in quanto un’analisi di quello che avviene sul campo indica al contrario un’interferenza a favore del regime al potere, con un impatto pesante dunque in termini di violazioni dei diritti umani.In questo caso – ma ci sono esempi simili in altri paesi – alcuni partecipanti hanno descritto la cooperazione cinese come una pura forma di espropriazione delle risorse naturali africane.Quello che è emerso dal dibattito è stata la necessità – per la società civile africana, cinese e internazionale – di cominciare ad attivarsi soprattutto nel pensare i modi secondo i quali gli attori di questa nuova cooperazione possono essere monitorati e chiamati a rispondere del proprio operato, nel bene e nel male.Un dato evidente è che la società civile - africana o cinese – non è stata invitata al grande vertice Cina-Africa del 2006. E’ necessario andare oltre agli interessi geopolitici all’interno dei quali questa vicenda si svolge e cominciare a chiederci perché tutto questo accade, fino a che punto gli africani abbiano le capacità di gestire questa questione, se sia una questione tra Cina e Africa o non sia piuttosto una questione di classe, chi ne siano gli attori. Il quadro è complicato dal fatto che il governo cinese non ha l’abitudine di rendere conto del proprio operato ai propri cittadini, e dunque bisogna riflettere su quale sia il modo più efficace per influenzarlo.Bisogna costruire un dialogo con la società civile cinese – presente all’incontro - che reclama attenzione. Bisogna prendere coscienza delle complessità della vicenda, in cui per esempio il principale attore nella cooperazione Cina–Africa, la Banca di Import-export cinese, è controllata dal governo cinese, ma è portatrice anche di interessi delle maggiori banche europee, come ad esempio Meryll Linch nel caso del Sudan, che sembrerebbero dunque passare attraverso la Cina per fare quello che non possono fare apertamente dalla Gran Bretagna.E’ emersa dunque la necessità forte di cominciare a muoversi come società civile, di cominciare a pensare come fare lobby su tali questioni, anche in previsione del fatto che la Cina possa non circoscrivere questo modello di cooperazione solo all’Africa, ma possa in futuro cercare di estenderlo anche ad altri paesi asiatici, o in America Latina.Giulia De Ponte Advocacy Officer AMREF Italia

10 July 2007

WELCOME TO HELPAFRICAFRIENDS

You are all welcome to this new space where ideas,cultures,opinions could be freely exchanged and where solutions could be sought to help humans like us but different from us just because they can't meet up with their daily needs,for reasons best known to all.Africa needs us and we need Africa;LET'S GIVE HER A HAND, FOR REAL.

JAZZ FOR PEACE

Rick DellaRatta (Jazz for Peace), Bono (U2), Peter Gabriel, and Sting included in the Foundation Center's list of Musician Philanthropists!
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