11 July 2007

idea cinese di cooperazione in africa,che ne dite?

23/01/2007 African perspectives on China in AfricaIl nuovo modello di cooperazione allo sviluppo introdotto in tempi recentissimi dalla Cina, che dai primi anni 2000 ha cominciato a portare i propri interessi geopolitici in Africa.L’incontro intitolato “African perspectives on China in Africa”, promosso da Fahamu, è stato senz’altro quello che mi rimarrà più impresso di questo Social Forum. L’argomento del dibattito è stato il nuovo modello di cooperazione allo sviluppo introdotto in tempi recentissimi dalla Cina, che dai primi anni 2000 ha cominciato a portare i propri interessi geopolitici in Africa.La grossa novità introdotta dalla cooperazione cinese in Africa è che essa viene offerta ai paesi africani senza alcuna condizionalità: questo implica da una parte il fatto che essa ha un profilo molto meno arrogante rispetto a quella europea (che se da un lato “aiuta” , dall’altro - pretendendo di conoscere la retta via – impone riforme strutturali come precondizione per ottenere l’”aiuto”); d’altro canto i cinesi sembrano però cooperare – in cambio ovviamente dell’accesso alle risorse naturali, soprattutto minerarie, dei vari paesi africani - anche con i regimi dittatoriali più sanguinari, senza volersi porre la questione dell’impatto che questo tipo di cooperazione possa avere in termini di rafforzamento di questi regimi stessi.L’incontro ha suscitato un grande interesse nel pubblico: la sala era strapiena, al punto che dopo mezz’ora abbiamo dovuto trasferirci in una più grande perché la gente continuava ad arrivare e non riusciva a sentire. Se in molti altri incontri del WSF nelle ultime file c’era sempre chi leggeva il giornale, sfogliava il programma o parlava con il vicino, stavolta l’attenzione era totale, non volava un mosca e chi si perdeva una frase si alzava chiedendo di ripetere, quasi fosse intollerabile perdere anche una sola parola del dibattito. Il libro sull’argomento, venduto da Fahamu, è scomparso dopo il primo quarto d’ora. Ho avuto la netta sensazione che l’argomento sia talmente nuovo, talmente inesplorato e talmente carico di implicazioni per tutti gli attori coinvolti da rendere ogni frammento di informazione prezioso.Il dibattito si è strutturato attorno all’interrogativo se la cooperazione cinese sia semplicemente una nuova modalità di espropriazione delle risorse africane, o se possa essere letta come una nuova forma di cooperazione Sud-Sud. In questo dibattito fino ad oggi hanno trovato posto le voci di commentatori europei o americani, ma quello che si è voluto far emergere è invece la prospettiva africana.Sicuramente il modello di cooperazione cinese è concepito per colmare i vuoti lasciati dalla cooperazione “occidentale”, della quale i vari governi africani vedono chiaramente i limiti, le incongruenze e le ipocrisie, e per la quale dimostrano una chiara insofferenza.Al linguaggio arrogante del Washinghton consensus, il Bejing consensus risponde con un linguaggio volutamente “soft”, parlando di “partnership tra pari” e di “amicizia afro-cinese”; alla condizionalità occidentale risponde con una totale non ingerenza negli affari interni dei paesi con i quali coopera.Questi aspetti sono senza dubbio apprezzabili dal punto di vista africano, da rendere l’ingresso della Cina nello scenario della cooperazione internazionale un’alternativa concreta che molti paesi africani cercheranno di usare per aprirsi margini di manovra più ampi.La cooperazione cinese porta con sé – tuttavia – anche una serie di criticità, che mettono in allarme soprattutto la società civile africana (oltre che occidentale). I cinesi, innanzitutto, portano grandi progetti infrastrutturali – certamente benvenuti, anche perché vengono realizzati in tempi record e consegnati “chiavi in mano”– che tuttavia spesso costano più in manutenzione che in costruzione, e che dunque vengono utilizzati solo per un periodo limitato, per poi cadere in disuso per mancanza di fondi per la manutenzione.Un altro problema è quello della forza lavoro: la cooperazione cinese porta in Africa non solo il progetto e i propri ingegneri, ma addirittura la mano d’opera per la costruzione: questo ha implicazioni negative in quanto da una parte la mano d’opera del paese africano beneficiario non ne trae nessun vantaggio, come pure l’economia locale; dall’altra le condizioni di lavoro della mano d’opera cinese destano molte preoccupazioni, tanto che c’è chi ipotizza che gli operai cinesi in Africa siano in realtà detenuti provenienti dalle carceri cinesi.Un’altra questione è quella dell’impatto ambientale degli interventi cinesi, che sembrano non prevederne alcuna valutazione e operano in genere fino ad esaurimento delle risorse naturali.Dalla Cina, inoltre, arrivano più prestiti che non interventi a dono, il che potrebbe avere delle ripercussioni pesanti – a lungo termine – sulla situazione debitoria della maggior parte dei paesi africani.C’è infine il problema di come la cooperazione cinese gestisce questi progetti, non disdegnando spesso pratiche illegali, in assenza di documentazione scritta e spesso utilizzando legami con la criminalità locale.Il quadro quindi è complesso. La cooperazione cinese in Africa ha una storia talmente corta che non è ancora possibile trarre delle conclusioni: la presenza cinese in Africa comincia negli anni settanta, ma in quegli anni la Cina era solo uno dei tanti partner dei paesi africani, ed operava ovviamente in un quadro geopolitico diverso, quello della guerra fredda.L’investimento grosso in Africa in termini di cooperazione inizia invece nel 2001, ma è difficile dare una valutazione preliminare anche di questo breve periodo, in quanto le informazioni sulle pratiche di cooperazione cinese sono scarsissime, tanto che è difficile capire anche soltanto quali siano gli attori che gestiscono questi progetti, secondo quali procedure si muovano e nel quadro di quale tipi di partenariato.Per il momento sembra che l’unica analisi possibile è un’analisi caso per caso: il caso sudanese, per esempio, sembrerebbe mostrare come non sia vero che la Cina non interferisca negli affari interni dei paesi africani con i quali coopera, in quanto un’analisi di quello che avviene sul campo indica al contrario un’interferenza a favore del regime al potere, con un impatto pesante dunque in termini di violazioni dei diritti umani.In questo caso – ma ci sono esempi simili in altri paesi – alcuni partecipanti hanno descritto la cooperazione cinese come una pura forma di espropriazione delle risorse naturali africane.Quello che è emerso dal dibattito è stata la necessità – per la società civile africana, cinese e internazionale – di cominciare ad attivarsi soprattutto nel pensare i modi secondo i quali gli attori di questa nuova cooperazione possono essere monitorati e chiamati a rispondere del proprio operato, nel bene e nel male.Un dato evidente è che la società civile - africana o cinese – non è stata invitata al grande vertice Cina-Africa del 2006. E’ necessario andare oltre agli interessi geopolitici all’interno dei quali questa vicenda si svolge e cominciare a chiederci perché tutto questo accade, fino a che punto gli africani abbiano le capacità di gestire questa questione, se sia una questione tra Cina e Africa o non sia piuttosto una questione di classe, chi ne siano gli attori. Il quadro è complicato dal fatto che il governo cinese non ha l’abitudine di rendere conto del proprio operato ai propri cittadini, e dunque bisogna riflettere su quale sia il modo più efficace per influenzarlo.Bisogna costruire un dialogo con la società civile cinese – presente all’incontro - che reclama attenzione. Bisogna prendere coscienza delle complessità della vicenda, in cui per esempio il principale attore nella cooperazione Cina–Africa, la Banca di Import-export cinese, è controllata dal governo cinese, ma è portatrice anche di interessi delle maggiori banche europee, come ad esempio Meryll Linch nel caso del Sudan, che sembrerebbero dunque passare attraverso la Cina per fare quello che non possono fare apertamente dalla Gran Bretagna.E’ emersa dunque la necessità forte di cominciare a muoversi come società civile, di cominciare a pensare come fare lobby su tali questioni, anche in previsione del fatto che la Cina possa non circoscrivere questo modello di cooperazione solo all’Africa, ma possa in futuro cercare di estenderlo anche ad altri paesi asiatici, o in America Latina.Giulia De Ponte Advocacy Officer AMREF Italia

1 comment:

  1. è vero che la nuova politica cinese in africa suscita tanti dubbi ma tanti africani come me sostengono che preferiscono l'attuale modo di collaborazione.almeno loro lavorano con i fatti,edifici,stadi,strada,infrastruture,agricoltura,scuole,ospedali,sociale,ecc,ecc.in solo 3-5anni hanno conquistato gli africani con i fatti.In camerun ad esempio,dai tempi della colonizzazione ad oggi,c'è stato solo lo sfruttamento delle nostre risorse dalla parte dell'occidente,sostenuti dai i loro uomini a capo dei nostri governi.si possono contare le opere grandi che hanno fatto in 50anni,in confronto a quello che stanno facendo ora i cinesi.io penso che l'occidente sta perdendo terreno anche in africa perchè non è riuscito a controllare l'asceso dirompente della cina nella nuova economia mondiale e cerca di criticarla alludendo solo ai loro prodotti low cost e scarsi.a noi piace il low cost,anche perchè non ci sono i soldi e la gente comune commincia a scoprire che può vivere bene anche con pocò.
    sarà un mio punto di vista e vorrei sentirvi,good day|

    ReplyDelete

Your opinion is important and welcome!!